blog personale sull'Igiene Naturale  
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domenica 3 febbraio 2013

Vegetariano o carnivoro: questo è il problema

Se la specie umana fosse carnivora od onnivora, perché dunque le persone hanno questa reazione di repulsione, a volte incontrollata, allorché gli si presenta sotto i loro occhi la fonte originaria del cibo che hanno appena mangiato?... Non sono d'accordo con quanto scrive Reschia su La Stampa dicendo:
Non sono vegetariana. E talvolta trovo fastidioso e snob chi chiede con aria schifata piatti senza carne, e rumina insalata mentre gli addentano braciole. Però, so che se dovessi occuparmi io della faccenda preferirei evitare. E so come si chiama questo: è ipocrisia.[1]
  Troppo sbrigativo chiudere la faccenda risolvendo il problema con la parola: "ipocrisia". A meno che non la si spieghi diversamente. Le reazioni umane sono genuine, lo schifo che provano queste persone è reale. Non vi è nulla che lascia supporre una qualche falsità a livello emozionale. Ecco che viene giù la maschera!... gli attori hanno smesso di recitare. Semmai la loro è la fine di una sonnecchiante ipocrisia, allorchè si ritrovano a tu per tu con la squallida realtà, rifiutando in modo ostile la giustapposizione dei due "piaceri", stridenti fra loro (per l'ambivalenza dei sentimenti e lo sconvolgimento dell'etica comunitaria): il maialino che incute tenerezza e la visione improvvisa della fonte del piacere (?) provato dalla carne appena ingurgitata. Tutti si ritengono buoni, anche il maialino è ritenuto buono a vedersi... ma a gustarsi!... Questo double bind improvvisamente rivelato pone alla ribalta un senso di colpa, un peccato originale (a livello inconscio, o quasi), quello di aver colto dall'albero il frutto proibito.
  Andando più sul pratico, questo divertente (mica tanto) e istruttivo filmato, fà intuire che c'è stato (chissà quando e come) un tralignamento dalla propria vera natura vegetariana-fruttariana. Qui vediamo proprio il contrasto evidente e apparentemente insolvibile fra cultura e natura.
  Non dimentichiamo che la carne cruda e/o scondita non è affatto appetibile; per renderla tale necessita di essere cotta e condita o trattata con spezie e aromi vari (come succede per i salumi).


  Si potrebbe obiettare che in condizioni di necessità e penuria di cibo, la predisposizione naturale va a farsi friggere (vedi eschimesi per es.). Appunto... in condizioni però particolari, direi estreme. Queste condizioni estreme si sono verificate con le glaciazioni. Da qui è derivata probabilmente la tendenza culturale e/o la necessita inderogabile di cibarsi a volte quasi esclusivamente di carne. Allorché il clima divenne più mite, questa tendenza acquisita, fortemente impressa dall'uso reiterato dall'atavica consuetudine, durante il tempo (non certo breve) dei periodi glaciali, rimase immutata, quasi fosse genuinamente innata nell'Uomo.

[1] "La coerenza di chi mangia carne" una riflessione, articolo di Carla Reschia, pubblicato su "La Stampa".

lunedì 14 gennaio 2013

Igiene e digiuno tra le popolazioni guaraní

Indigeni della comunità guaranì-kaiowà dello stato brasiliano meridionale del Mato Grosso del Sud
   I guaraní sono un gruppo di popolazioni indigene del Sud America imparentate culturalmente. Si distinguono dai tupi in quanto parlano il guaraní. Le zone da loro popolate sono rappresentate da ciò che oggi sono i fiumi Uruguay e il corso inferiore del Paraguay, le province argentine di Corrientes e Entre Ríos, Brasile meridionale e zone dell'Uruguay e Bolivia, sebbene la loro predominanza nella regione sia stata ridotta dalla colonizzazione europea e dal concomitante aumento di meticci.
La porzione di testo che segue è stata tradotta liberamente da Martí y la Religión
La straordinaria longevità dei guarani è dovuta certamente alla loro propensione verso l'igiene, alla sobrietà nel bere e nel mangiare e all'assenza di eccessi di qualsiasi tipo. Da quanto viene riportato da Thevet sappiamo che "i guaraní non mangiavano mai frutta alterata o poco matura, né cibo che non fosse ben cucinato". Oltre alla loro sobrietà nel mangiare poco o in modo moderato, si impegnavano anche a contrastare i peccati di gola. Secondo Bertoni digiunavano obbligatoriamente in molte occasioni. Tale era il loro abituale costume, dalle Antille e Guayana fino al Sur. Sebbene i motivi potessero variare, il digiuno guaraní rappresentava una vera istituzione. Si digiunava e tuttora si digiuna per diversi motivi:
  • digiuni mistici 
  • digiuni curativi o "terapeutici"
  • digiuni di educazione e rafforzamento della volontà 
  • per altri motivi. 
Secondo i guaraní, il digiuno è un esercizio necessario da praticare di tanto in tanto. Il fatto di non essere schiavi del mangiare è per loro motivo d'orgoglio. Da sempre c'è stata la frequenza dei digiuni mistici. Così digiuna l'avare, o karaiva, o paje, prima di intraprendere una delle sue evocazioni e per la preparazione di certe sostanze o medicamenti. Per la nascita di un figlio, anche il padre è tenuto a digiunare, fermo e contento allo stesso tempo.
   La pulizia del mangiare è ben curata e tutto ciò che concerne la preparazione degli alimenti. Rochefort scrive che, tranne i giorni del pasto in comune (feste o riunioni pubbliche), ogni persona ha il suo tavolino per mangiare a parte, sopra il quale vi mette una tovaglia ben pulita, color verde foglia banana. Prima di mangiare si lavano sempre le mani con molta cura. Tutto ciò contrasta molto con la negligenza che si nota nel triste esempio di molti indigeni di altra etnia.
   Per la pulizia del corpo, uomini, donne e bambini, appena alzati vanno a lavarsi e a nuotare nei ruscelli, anche in periodi freddi. Entrano in "acqua, bagnandosi prima la testa, poi si lavano tutto il corpo e si tuffano; certi giorni lo fanno più di 12 volte". Questa è una delle ragioni del perché si rifiutavano di vestire alla maniera europea.
   Alcune parti del corpo richiedono una cura particolare. Così i chiriguano si puliscono la testa con semi pestati di Ñandyra, curando inoltre molto le unghia delle mani e dei piedi. Lavarsi la testa con sapone naturale che alcune piante contengono era un'usanza pressocché generale, rimasta ancor oggi in tutti i luoghi dove vi è una popolazione guarani. Vi è anche un'altro aspetto singolare, come il terrore che destano certe impurità, al punto tale che le donne nascondono con grande cura le loro mestruazioni.

Fonti


venerdì 11 gennaio 2013

Abkhasia, capitale mondiale della longevità

Alexander Leaf, oltre ai Vilcabamba si interessò anche della longevità in Abkhasia scrivendo che "non vi è di sicuro una popolazione al mondo ad avere la fama di essere così longeva come quella che si riscontra nel Caucaso della Russia meridionale" e, in tutto il Caucaso, l'area più rinomata per lo straordinario numero di centenari in perfetta salute era l'Abkhasia. Il censimento del 1970 aveva riconosciuto l'Abkhasia, allora regione autonoma della Georgia sovietica, capitale mondiale della longevità. Questa regione si estende per 3000 miglia quadrate tra le rive orientali del Mar Nero e le cime della catena principale del Caucaso e confina a nord con la Russia e a Sud con la Georgia.
Shirali Muslimov (1970)
   Prima della visita di Leaf, circolavano ampiamente voci inerenti all'aspettativa di vita della popolazione degli abkhasi che arrivava a 150 anni. Già alcuni anni addietro, la rivista Life pubblicò un articolo con foto di Shirali Muslimov, avente la presunta età di 161 anni. In una delle foto Muslimov lo vediamo accanto alla sua terza moglie. Egli disse al giornalista di averla sposata quando aveva 110, mentre i suoi genitori avevano oltrepassato i 100 anni e il fratello era morto all'età di 134 anni. Leggiamo su Wikipedia che...
   "Il caso Müslümov divenne noto nel 1963, quando un giovanissimo fotoreporter della TASS, Kalman Kaspiev, si recò a Barzavu per intervistare l'anziano. Atti di vecchia data certificavano l'inverosimile: un uomo nato nel 1805 era ancora vivo all'età di 158 anni. La stampa ufficiale sovietica non si lasciò di certo sfuggire una tal ghiotta occasione: Müslümov era stato lavoratore in un kolchoz, ricordava i tempi della Russia zarista e, richiesto di un confronto, aveva detto con un po' di compiacenza che le cose andavano meglio nel nuovo regime. La vicenda di Şirəli Baba (Nonno Şirəli) fece perciò il giro del mondo".

   Alexander Leaf non poté vedere Muslimov poiché morì di lì a poco, ma incontrò comunque Khfaf Lasuria [1], una donna centenaria che cantava in un coro citata nello stesso articolo apparso su Life, nel villaggio abkhaso di Kutol. Sebbene rimasto fortemente fortemente impressionato dal fascino di questa vivace ultra-centenaria, Leaf non prese per oro colato le asserzioni da lei fatte riguardo alla sua età e cercò di accertarsene in modo obiettivo, compito questo piuttosto arduo... Dopo laboriose ricerche, Leaf concluse che la signorina Lasuria poteva avere un'età prossima ai 130 anni. Non essendone sicuro, si limitò ad affermare di essere giunto a un grado di confidenza statistica il migliore possibile, ma è sicuro che costei era una delle persone più vecchie che lui avesse mai incontrato. In qualsiasi area dell'Abkhasia andasse, Leaf si trovava davanti persone anziane dotate di salute eccezionale, come se stesse visitando la mecca della superlongevità. All'età di oltre 130 anni Khfaf Lasuria aveva smesso il suo lavoro di raccoglitrice di foglie di tè in una fattoria collettiva dove veniva ricordata come la più veloce di tutte, rimanendo comunque attiva per tutto il resto della sua vita, prendendo regolarmente la corriera per andare a visitare i parenti residenti nei villaggi vicini, curando il giardino, allevando tacchini e maiali. Khfaf era onnivora, fumava, beveva vodka e vino fatto con l'uva che lei stessa coltivava.

Tlabganu Ketsba
   Fra i tanti esempi riferiti c'è quello dell''abkhasa Tlabganu Ketsba che nel 1939 aveva 140 anni. Queste storie di ultracentenari, che si riscontrano di solito in regioni montane (vedi hunza, vilcabamba), sono state a lungo poste in discussione. Ronald F. Schmid però fornisce le prove di documenti tra cui quelli battesimali, dimostrando che l'età dichiarata dei centenari è più che attendibile. Ciò che sorprende degli ultracentenari georgiani, hunza, vilcabamba, non è propriamente la venerabile età raggiunta ma il fatto che siano robusti, agili e dotati di una ottima memoria.
  Oltre alla loro incredibile agilità e resistenza, Leaf scopre che molti centenari abkhasici, tempo permettendo, praticano nuoto nei freddi corsi d'acqua montani. Successivamente Leaf ebbe modo di sapere dal dottore locale che l'osteoporosi è pressocché assente fra la popolazione più anziana e le fratture sono un eventualità piuttosto rara.

Il censimento effettuato nel 1975 nella regione caucasica della Georgia faceva riferimento a 1844 individui ultracentenari.

Regime alimentare

La dieta è prevalentemente vegana vegetariana basata su frutta di stagione e verdura coltivata nei loro orti o giardini che grazie al clima mite, è disponibile sette otto mesi l'anno. Così abbiamo vari ripi si uva, ciliegie, albicocche, susine, pesche, fichi, molte varietà di bacche, cachi, mele, ecc... La frutta che non è consumata viene essicata e serbata per i mesi invernali. La regione caucasica, tra l'altro, è anche la zona d'origine dell'albicocca. La verdura viene di solito mangiata cruda, o talvolta cucinata con una modesta quantità d'acqua e soprattutto colta poco prima di consumarla o cuocerla. Ciò che rimane del pasto, ormai non più fresco, viene buttato in quanto considerato nocivo. Nella dieta una fonte primaria di grassi sono le noci (pecan), nocciole e mandorle, che crescono allo stato selvatico.  La carne, raramente consumata, proviene da animali sani e appena sgozzati, dalla quale viene rimosso accuratamente tutto il grasso. Il sale viene usato in modeste quantità, raramente il burro. Raramente vengono consumati i fritti. Il loro fabbisogno nutrizionale quotidiano è inferiore alle 2000 calorie e comunque non arrivano mai ad iperalimentarsi, perché ciò è considerato socialmente inappropriato e pericoloso per la salute, contribuendo in tal modo a tenere il corpo in forma, forte, snello.

Conseguenze dovute alla notorietà

    Uno dei più scettici verso l'età dichiarata degli ultracentenari del Caucaso era il genetista della Georgia sovietica Zhores A. Medvedev, esperto in metodologie atte a fornire verifiche accurate dell'età nelle regioni caucasiche e in particolar modo in Abkhasia. Gli articoli di Medvedev in cui esprimeva i suoi dubbi ricevevano una grande attenzione allorché venivano pubblicati nella rivista scientifica The Gerontologist subito dopo che gli articoli di Leaf apparivano sul National Geographic. In questi articoli, Medvedev presentava prove convincenti riguardo al fatto che le persone potessero vivere oltre 120 anni, riconoscendo comunque un insolita longevità nella regione, patria di un non precisato numero di persone in età estremamente avanzata.
   Mentre ferveva la controversia, la legenda della straordinaria salute delle genti caucasiche veniva massicciamente promossa dalle corporations americane che producevano e vendevano yogurt, cercando di collegare il fenomeno della longevità della popolazione caucasica al loro consumo di yogurt, tanto da produrre un'intera generazione di americani che associavano lo yogurt all'estrema longevità, tra cui i più ingenui erano propensi a credere che per le genti caucasiche era la norma arrivare all'età di 140 anni e passa. Si giunse così ad ottenere un'inflazione di dichiarazioni di supercentenari che andavano ben oltre quelle fatte negli anni '70-'80. Ciò pose gli abkhasi al centro dell'attenzione al mondo occidentale, pervenendo alla conclusione che non fosse il loro stile di vita a permettere lo stato di splendida salute fino a tarda età, ma un fenomeno esotico innato. Allorché queste estreme dichiarazioni inerenti alla superlongevità vennero ritenute false, si venne a instaurare una controtendenza a rigettare come imbroglio tutto ciò che riguardava la longevità abkhasica.


[1] Tale storia della ultracentenaria (130 anni) georgeana Khfaf Lasuria risale al 1973 e viene riportata da Leaf  nel National Geographic e dal medico Ronald F. Schmid nel libro Traditional Foods Are Your Best Medicine (1987).


Fonti



mercoledì 9 gennaio 2013

Hunza

Articolo tratto liberamente da Buruscio su Wikipedia al quale personalmente contribuii


Un rajah con alcuni membri della tribù
Un rajah hunza con alcuni
membri della tribù (XIX secolo).
Gli hunza vivono in quello che tra noi è conosciuto come il tetto del mondo, tra le vette himalayane, in un territorio situato nella valle omonima inaccessibile a circa 3000 metri sopra il livello del mare, nell'estremo punto settentrionale del Pakistan dove convergono i confini del Kashmir, Cina, India e Afghanistan. Completamente isolati dal resto del mondo, con una popolazione di circa 30.000 abitanti, sono ritenuti il popolo più felice della terra. Esenti da malattie e dotati di una salute e resistenza straordinarie, la loro longevità diviene legendaria dato che l'età media dell'aspettativa di vita, da quanto ci viene raccontato, viene valutata intorno ai centoventi anni. Viene riportato anche che fra i centenari non è raro raggiungere la venerabile età di 130 anni, tra cui qualcuno sembra sia arrivato ai 145 anni di età. Incredibile... ma sarà vero?...

Più precisamente i buruscio o bruscio o hunza[1] popolano le valli pakistane settentrionali di Hunza, Nagar e Yasin. Ci sono anche oltre 300 buruscio a Srinagar, India[2]. In questa zona, prevalentemente costituita da musulmani, si parla il burushaski [3], una lingua non in relazione, a quanto pare, con nessun'altra.[4] Geneticamente sono in parte vicini alle popolazioni dell'Est Asiatico, facendo supporre che almeno qualcuno dei loro antenati abbia avuto origine nel nord dell'Himalaya.[5]

Indice

Hunza


Ragazza con bambino
Il popolo hunza (o hunzakut) discende dal principato di Hunza e vive a fianco dei wakhi e degli shina. I wakhi abitano nella parte superiore dell'Hunza localmente chiamata Gojal e nelle regioni confinanti situate in Cina, Tagikistan e Afghanistan, e anche a Gizar e nel distretto di Chitral del Pakistan. La popolazione parlante lo shina vive nella parte meridionale dell'Hunza. Essi provengono da Chilas, Gilgit, e altre aree pakistane di lingua shina. I buruscio-hunza, secondo quanto viene riportato da Ralph Bircher[6], contavano circa 10.000 abitanti (almeno fino a qualche decennio fa), sparsi in circa 150 villaggi situati a un'altitudine che oscilla tra i 1660 e i 2450 m. sul livello del mare. La conformazione del territorio rendeva questo popolo abbastanza isolato dai popoli circostanti, a causa delle vie di comunicazione impraticabili e pericolose se non addirittura assenti. Gli hunza abitano molto al di sopra della valle omonima, sui loro terrazzi (mesas) spesso fortemente soscesi e impervi, non esenti dal rischio di frane, con strapiombi di 600-900 metri. Dal territorio degli hunza è possibile osservare i vicini nagir separati da un profondo grande canyon che rende ancor più difficile le vie di comunicazione.[6]
Fino a pochi decenni or sono gli hunza erano governati da un mir (corrispondente al nostro re); il loro capoluogo era Balbit conosciuta anche come Karimabad. Lo stato principesco di Hunza venne abolito il 25 settembre del 1974.
Gli hunzakut e la regione di Hunza ha uno dei più alti tassi di alfabetizzazione in confronto agli altri distretti similari pakistani ed ed è una delle maggiori attrazioni turistiche del Pakistan; molti pakistani e turisti stranieri viaggiano per la regione per godere dei paesaggi pittoreschi e delle sue sbalorditive montagne. Il distretto possiede molte attrattive moderne ed è abbastanza progredito rispetto allo standard asiatico. La leggenda locale ci racconta che questi hunza potrebbero essere stati associati con il regno scomparso di Shangri-La.

La longevità degli hunza [7]


donna anziana di Karimabad La popolazione degli hunza viene talvolta menzionata per la sua aspettativa di vita eccezionalmente lunga [8] Ralph Bircher uno dei maggiori studiosi di questo popolo di circa 10.000 individui, riporta alcune caratteristiche sbalorditive, quasi leggendarie, nel suo libro Gli hunza, un popolo che ignorava la malattia [9], ovvero:
- sono quasi esclusivamente vegani (la carne era consumata poche volte l'anno e i prodotti di origine animale piuttosto raramente);
- la dieta si basava su un apporto calorico inferiore alle 2000 kcal, nonostante i lavori piuttosto pesanti che svolgevano;
- praticavano un duro semi-digiuno stagionale a causa dell'assottigliamento delle scorte dei viveri in attesa del nuovo raccolto;
- gli indumenti che indossavano erano poco adatti, secondo i parametri comuni, a sostenere i rigori invernali;
- l'età media riguardo alle aspettativa di vita era calcolata a circa 120 anni;
- l'efficienza fisica e la smagliante salute permaneva fino a tarda età
- non si conoscevano malattie (prima dell'arrivo massiccio dei prodotti della civiltà consumistica).
La longevità e la salute perfetta degli hunza hanno fatto avanzare diverse ipotesi a questo riguardo. Le più attendibili riguardano...
- la dieta naturale e vegetariana e il semi-digiuno obbligato stagionale;
- l'altitudine e l'ambiente incontaminato in cui vivono;
Altri ipotizzano che l'elisir della loro lunga vita fosse il torrente a cui attingevano l'acqua con particolari virtù salutari (virtù dovute probabilmente alla completa mancanza di fluoro). I vari studiosi di "questo popolo greco dell'Himalaya" che si sono succeduti hanno riscontrato che la loro longevità e salute si siano andate degradando con il passare del tempo. Già nel 1979 lo stesso Ralph Bircher riporta la notizia a lui pervenuta tramite conoscenze che il paese aveva ormai perduto la sovranità e la sua influenza; al posto del re (mir) c'era adesso la polizia pakistana; inoltre i prodotti, se non altro alimentari, della civiltà consumistica sembra avessero ormai invaso tutti i villaggi hunza.[10]

L'indagine di McCarrison


Durante il periodo fra le due guerre mondiali, il medico scozzese McCarrison operante nel circondario di Gilgit, a Nord del Cachemire, rimase colpito dalla conformazione fisica e dalla incredibile capacità lavorativa degli hunza, e per quanto riguarda la sua ricerca sulle malattie trovava questo popolo insignificante dato che non aveva nulla da curare se non qualche trauma o frattura. Infine abbandonò le sue ricerche riguardanti il campo delle malattie per dedicarsi ad esaminare accuratamente questa ottima condizione salutare degli hunza, da lui reputato il popolo più sano della terra. A parte gli accessi di febbre brevi e violenti e qualche infiammazione agli occhi causata dal fumo del riscaldamento nelle chiuse abitazioni durante il periodo invernale, non v'erano malattie particolari né quelle dovute all'invecchiamento (nessuna diminuzione della capacità uditiva e visiva, né indebolimento degli organi; i denti rimanevano perfetti ed efficienti fino a tarda età. McCarrison esaminando diversi i fattori essenziali quali le condizioni climatiche, la razza, l'alimentazione, ecc. arrivò alla conclusione che il regime alimentare fosse la chiave per capire l'enigma dell'incredibile salute e longevità degli hunza rispetto anche ai popoli confinanti che vivevano più o meno nelle stesse condizioni ambientali contraendo varie malattie, come tubercolosi, malaria, e tante altre più o meno gravi. McCarrison in definitiva viene ad elencare queste condizioni alimentari:
- autosufficienza alimentare
- assenza di prodotti industriali e commerciali a livello mondiale (zucchero, conserve, cibi raffinati, ecc.)
- cibi prevalentemente crudi. L'alimentazione base degli hunza era costituita dai prodotti freschi coltivati in loco quali: cereali, frutta, e in misura inferiore legumi (fatti germinare, in certi periodi dell'anno, insieme ai cereali e mangiati così crudi) e latte. La carne e il vino venivano raramente consumati.
L'ipotesi di McCarrison venne confermata dai suoi stessi esperimenti praticati su due popolazioni diverse di topi, le quali venivano alimentate rispettivamente con due diete particolarmente differenti: una simile a quella praticata dagli hunza e un'altra come quella in uso nella civiltà occidentale (farina bianca, dolciumi, conserve, carne, marmellate, ecc.). Questo esperimento significativo attestò la longevità, la perfetta salute e l'ottima convivenza nel primo gruppo di topi alimentato secondo il regime alimentare praticato dalla popolazione degli hunza. Mentre il secondo gruppo rimaneva affetto da malattie e da una aspettativa di vita molto inferiore oltre al fatto che si riscontravano numerosi casi di cannibalismo. Questa ricerca pioneristica riguardo alla correlazione tra il tipo di alimentazione e la longevità salute verrà Successivamente confermata da altri studiosi.

Agricoltura, allevamento e sussistenza [11]


L'economia degli hunza, fino a pochi decenni fa, era prettamente chiusa o meglio di sussistenza e si basava sull'agricoltura che veniva praticata sui loro "terrazzamenti" (mesas), in maggior parte però quasi sterili. Nel poco terreno fertile dunque si coltivano alberi da frutta, in particolare albicocchi, e altri prodotti riportati sotto (vedi Dieta hunza). Il riciclaggio in questo ambiente naturale viene praticato al massimo: i ramoscelli ottenuti della potatura vengono recuperati e utilizzati poi come combustibile nei mesi invernali più rigidi; allo stesso modo lo sterco dei pochi capi di bestiame (mucche, capre e pecore, utilizzate per lo più per il latte) viene fatto essiccare e immagazzinato per poi bruciarlo d'inverno. La carestia stagionale che colpiva nel periodo primaverile, prima del raccolto, sembra fosse andata peggiorando con il tempo e il regime dietetico già spartano degli hunza diventava sempre più insufficiente, data la fisionomia dell'aspro e sterile territorio e la carenza di fonti acquifere, senza nessuna possibilità di irrigazione, in concomitanza oltretutto con l'aumento della popolazione. Questa cosiddetta "primavera di fame", iniziava pressappoco dopo la festa di ringraziamento, il Bop-Faou, (come viene riportato da Lorimer nel 1935), durante la quale si implorava la fecondità della terra con riti cerimoniali solenni e giochi di destrezza, a cui seguivano settimane di semi-digiuno coincidente con i più duri lavori nei campi. Nonostante la carestia gli hunza rimanevano un popolo legato e solidale, allegro, ospitale e generoso, esente da avarizia ed egoismo, dignitoso, nonostante gli stenti, tanto che Lorimer riporta nel suo diario di bordo casi incredibilmente eclatanti e commoventi di ordinaria abnegazione, aggiungendo inoltre che "la fame non ha nessuna influenza sull'umore di questa gente, non arriva a piegare il loro temperamento".[12] Questa economia di sussistenza negli ultimi decenni si è aperta al mercato globale con afflusso di prodotti alimentari esterni sofisticati che di certo hanno mutato in qualche grado la fisionomia, la cultura, gli usi e costumi degli hunza.

Dieta hunza


pane hunza
Pane hunza
La dieta degli hunza di qualche decennio fa (riportata da diversi studiosi specialmente da McCarrison e Wrench) era costituita in gran parte da alimenti di origine vegetale prodotti in loco: orzo, miglio, grano saraceno, grano [13] (e quindi l'utilizzo della farina integrale e di una specie di pane azzimo), mais [14] (raro), in misura inferiore legumi (fagioli, piselli, lenticchie, fave, ceci), frutta (more, mele, uva, ciliege, prugne, pesche, giuggiole, melagrane, meloni, pere, mandorle, noci) e specialmente albicocche fatte essiccare (delle albicocche si utilizzavano anche i noccioli da cui si ricavava anche un tipo d'olio), patate, verdure varie, carote, zucche, cavoli, cetrioli, melanzane, pomodori, erbe selvatiche ed aromatiche. Il vino veniva consumato in rare occasioni, perlopiù coincidente con particolari eventi. Per quanto riguarda i prodotti di origine animale abbiamo il latte (specialmente di YAK), formaggio fresco (brus) e da conservare (rahkpin), ricotta (quark), il burro o maltache (alimento preziosissimo); la carne, in genere ricavata dal bestiame minuto (pecora, capra, gallina), era utilizzata raramente ma mai assente.[15] L'unico prodotto importato e usato con parsimonia era il salgemma proveniente dalle zone vallive vicine.

Lingua




La lingua hunza attualmente resta ancora senza possibilità di poter essere collegata ad altre lingue limitrofe e non, esistenti o estinte. Secondo Lorimer questa lingua si è evoluta separatamente da almeno 5000 anni a questa parte e comunque lo stesso linguista ammette di non essere riuscito nemmeno a completare un sufficiente vocabolario nei suoi 15 mesi di permanenza, aggiungendo inoltre che avrebbe avuto bisogno di almeno altri dieci anni per poterlo fare[16]

Religione [17]


Appartenenti formalmente alla setta dei musulmani ismaeliti ovvero aderenti alla dottrina di Ismaele o Maulaï, gli hunza, come osservava Lorimer, sono molto diversi dagli stessi popoli limitrofi, non avendo nessuna pratica che si manifesti esteriormente, né rituali, né preghiere, né templi, oggetti di venerazione o pellegrinaggi, né tantomento si può trovare qualche parvenza di mullah o gerarchia religiosa. La religione e la preghiera vengono vissute intimamente. Lo stesso Lorimer racconta che soltanto dopo tre mesi scoprì per puro caso che un certo contadino, per nulla distinguibile dagli altri, era in realtà un khalifa (prete laico). Non vi si trova, almeno apparentemente, traccia di superstizione, né credenze riguardanti il malocchio, la magia, come avviene invece per i popoli vicini, dai quali si distinguono ancor più per il fatto che le donne non portano il velo ed hanno parità di diritti.

Usi e costumi, arte e letteratura


Gli hunza sono soliti festeggiare i grandi eventi nel giorno del solstizio d'inverno con danze e musica eseguita dai béricho, musicisti di origine indiana. L'arte come la letteratura sono pressocché assenti. Come ogni civiltà contadina ci sono diverse festività e riti propiziatori legati alla semina e al raccolto come quella che si celebra il 6 febbraio per la semina dell'orzo. Non manca il carnevale che si celebra all'inizio di febbraio. Gli hunza sono inoltre delle appassionati e abili giocatori di polo.

Gli Hunza e Alessandro Magno


La leggenda riguardante i burusci racconta che essi discendono dal villaggio di Baltir, fondato da un soldato abbandonato dall'armata di Alessandro Magno è una leggenda comune a molta parte dell'Afghanistan e Pakistan settentrionale.[18] Tuttavia, l'evidenza genetica sostiene soltanto una componente genetica balcanica tra i pashtun afghani,[19] e non tra i burusci.[20]

Gli hunza e la Macedonia


Nel 2008 l'Istituto Macedone per le Ricerche Strategiche "16.9" organizzò un ricevimento del principe hunza Ghazanfar Ali Khan e della principessa Rani Atiqa, considerati discendenti dell'armata di Alessandro.[21] La delegazione hunza venne accolta all'aeroporto di Skopje dal primo ministro Nikola Gruevski, il capo della chiesa ortodossa macedone, l'arcivescovo Stefano, e dall'allora sindaco di Skopje Trifun Kostovski.

Note

  1. [1] ^ Il nome hunza era riservato inizialmente al fiume che divideva le popolazioni dei buruscio da quella dei nagir, mentre l'etnonimo hunza viene attribuito ai buruscio dalle popolazioni limitrofe. - Ralph Bircher, Gli hunza,... op. cit., pag. 32
  2. [2] ^http://repositories.lib.utexas.edu/bitstream/handle/2152/2777/munshis96677.pdf?sequence=2
  3. [3] ^ Ralph Bircher parla di lingua hunza piuttosto che di burushaski, poich?uest'ultima ?nche la lingua (poco diversificata) dei nagir e dei pi?istanti yasin che differiscono moltissimo sia per quanto concerne la cultura, gli usi e costumi, che per le condizioni fisiche e ambientali.
  4. [4] ^ (EN) Lingua burushaski, Enciclopedia Britannica online
  5. [5] ^ (EN) Worldwide Human Relationships Inferred from Genome Wide Patterns of Variation - Science 22 febbraio 2008:Vol. 319. no. 5866, pp. 1100 - 1104 DOI: 10.1126/science.1153717
  6. [6] ^ a b Ralph Bircher, Gli hunza,... op. cit., pagg. 32-33
  7. [7] ^ Ralph Bircher, Gli hunza,... op. cit., pagg. 23-29
  8. [8] ^ (EN) G. T. Wrench, "Il ciclo della salute: le sorgenti di lunga vita e la salute tra gli hunza", Dover Publications, 2006
  9. [9] ^ In effetti Ralph Bircher non fa altro che semplificare e divulgare, a volte criticando e rettificando, il resoconto fatto dal linguista E.O. Lorimer e sua moglie i quali restarono tra gli hunza per un periodo di circa 15 mesi, con lo scopo di studiarne la lingua.
  10. [10] ^ Ralph Bircher, Gli hunza,... op. cit., pag. 20
  11. [11] ^ Ralph Bircher, Gli hunza,... op. cit.
  12. [12] ^ Ralph Bircher, Gli hunza,... op. cit., pag. 54
  13. [13] ^ A volte i cereali vengono fatti germinare prima di essere mangiati crudi.
  14. [14] ^ Del mais si mangiavano le pannocchie molto prima che queste giungessero a maturazione
  15. [15] ^ McCarrison riferesce che la carne tra gli hunza viene consumata cinque o sei volte al mese (piu frequentemente nei periodi invernali)
  16. [16]^ Ralph Bircher, Gli hunza, ... op. cit., pag. 34
  17. [17]^Ralph Bircher, Gli hunza, ... op. cit., pagg. 56-62
  18. [18]^ (EN) Un dizionario etno-storico della Cina. Westport, Conn.: Greenwood Press, 1998, ISBN 0313288534.
  19. [19]^ (EN) evidenza cromosomica Y riguardo a un limitato contributo greco alla popolazione pathan del Pakistan, European Journal of Human Genetics (2007) 15; pubblicato online il 18 ottobre 2006
  20. [20] ^ (EN) Y-Chromosomal DNA Variation in Pakistan - Am. J. Hum. Genet. 70:1107?1124, 2002, pg. 117
  21. [21] ^ Alexander?s ?descendants? boost Macedonian identity - FT.com

Bibliografia

  • (SV) D.L.R. Lorimer, la lingua burushaski, 4 voll., Institutett for Sammenligende Kulturforskning, Oslo, 1935, (Leipzig, Otto Harrasowitz)
  • (EN) E.O. Lorimer, Language hunting in the Karakoram, George Allen & Unwin, London
  • (EN) G.T. Wrench, M.D.T. e Wheel o health, a study of very health people. The C.W. Daniel Company Ltd. Londra. W.C. 1. 1938. Brigadier General Sir George Cookrill, Pioneer Explorationa in Hounza and Chirral, in the "Himalaya Journal", Vol. XI (1939), p. 15-41, Campell Secord and the MICHAEL VYVYAN, Reconnaissance of Rakaposhi and the Kunyang glacier, in "The Himalayan Journal", Vol. XI (1939), pag. 156-164 (resoconti di McCarrison riproposti da Wrench, uno dei suoi allievi)
  • (EN) Clark, John. Hunza: Lost Kingdom of the Himalayas. 1956. New York, Funk & Wagnalls Company.
  • (EN) Tobe, John H. (1960). Adventures in a Land of Paradise. Emmaus, Pa.: Rodale Books.

Fonti

  • Ralph Bircher, Gli hunza, un popolo che ignorava la malattia, tradotto da Giovanna Ponticelli, Libreria editrice fiorentina (quaderni d'Ontignano). ISBN 88-89264-07-1


martedì 8 gennaio 2013

Vilcabamba

Articolo liberamente tradotto da  Vilcabamba: the town of very old people


Vilcabamba ("valle sacra" in lingua inca) è un piccolo villaggio situato in una valle elevata dell'Ecuador meridionale (precisamente nella provincia di Loja), etremamente inaccessibile e perciò protetta da molte influenze esterne deleterie moderne come per es. importazioni di cibi in scatola, additivi e conservanti. L'interesse nutrito per questa longeva e sana popolazione andina da parte degli studiosi risale a quasi 50 anni or sono. Anche tra gli individui più anziani le malattie croniche riscontrate sono pressocché nulle. Per i vilcabamba così come per gli Hunza del Pakistan settentrionale lo stato di salute permane fino a tarda età. Le ricerche scientifiche fatte a tale proposito giustificano tutto ciò adducendo come causa la magrezza, la dieta, il basso tasso di colesterolo, l'alto livello di attività. Infatti, la loro dieta, è come per tutte le popolazioni longeve, di tipo vegetariano e soprattutto di produzione locale. I prodotti di originale animale sono raramente consumati. Similmente agli Hunza i vilcabamba sono estremamente attivi e resistenti al lavoro.

Storia della loro fama

  Nel 1970, un gruppo di scienziati, tra cui i medici Alexander Leaf della Harvard Medical School, Harold Elrick dell'Università californiana di San Diego e altri dell'Università di Quito, interessati al legame che collega il tipo di dieta alla possibilità di contrarre malattie cardiache, visitarono Vilcabamba. Nella popolazione di questo paesino, nota per la sua incredibile longevità, in maggior parte di discendenza europea, venne riscontrato un basso tasso di colesterolo e in solo pochissimi individui patologie cardiache. Molti di loro dichiaravano di superare i cento anni tra cui alcuni addirittura i 140. L'età dichiarata sembra apparentemente avvalorata da certificati di nascita e registri parrocchiali battesimali. L'anno seguente nella provincia di Loja venne effettuato un censimento della popolazione che confermava l'insolita longevità dei vilcabamba. Su un totale di 819 abitanti, il paesino vantava 7 uomini e 2 donne che oltrepassavano i 100 anni di età. Uno di questi, Miguel Carpio, asseriva di averne 123. Un altro, Jose David, ne dichiarava 142. Dal censimento risulta evidente che nella popolazione di Vilcabamba vi è un elevato numero di individui anziani. 11.4% superano i 60 anni, una percentuale più del doppio del resto dell'Ecuador. Sbalorditivamente i censimenti successivi condotti vi trovarono molti centenari in più (complessivamente 23 per la precisione).

A questi censimenti e resoconti statistico-scientifici sulla salute e longevità dei vilcabamaba, seguirono numerosi articoli e pubblicazioni, scientifiche e no, che ratificavano e propagandavano questa loro vita in armonia con la natura, lontano dal logorio della vita moderna. La fama a livello mondiale di questa popolazione ecuadoregna fu certamente  dovuta negli anni '70 proprio a questa vasta informazione e pubblicazione cartacea. Nel 1975, il gerontologo David Davies pubblica "I centenari delle Ande" (The Centenarians of the Andes). Nel 1976 Grace Halsell per anni a contatto con i vilcabamba dà alla stampa "Los Viejos: Secrets of Long Life from the Sacred Valley", in cui racconta tra l'altro che tra i vilcabamba, cosa degna di nota, non ha mai visto casi di fratture alle gambe e/o alle braccia. L'anzidetta produzione editoriale di questi anni diede l'avvio a un notevole flusso turistico. L'interesse straniero venne anche favorito dal governo ecuadoregno, facendo avviare in tal modo in quest'area uno sviluppo senza precedenti. Un gruppo di studiosi giapponesi annunciarono la costruzione in loco di un "centro di ricerche per la salute e la longevità".

   Anche se la fama dei vilcabamba andava crescendo, alcuni scienziati, scettici riguardo a quanto concerne la loro longevità, arrivarono a conclusioni piuttosto interessanti da smentire le precedenti affermazioni. In particolare, Alexander Leaf, ricercatore della Harvard Medical School, uno dei primi a condurre ricerche a Vilcabamba nutriva dei forti dubbi a tale proposito. I suoi sospetti iniziarono a sorgere allorché gli parve chiaro che i suoi abitanti erano inaffidabili nel riferire la loro età. Per esempio, nel 1971 un uomo gli aveva riferito un'età di 122 e tre anni dopo, al suo ritorno nel medesimo luogo, la stessa persona ne dichiarava 134. [Avrà viaggiato con la macchina del tempo che come si sa comporta queste incongruenze al ritorno]. Folgorato da questa scoperta Leaf persuase Richard Mazess della University of Wisconsin Madison e Sylvia Forman della University of California Berkeley ad aiutarlo a scoprire in modo molto più accurato l'età della popolazione più anziana dei vilcabamba.

   Ciò diede loro uno scossone. In realtà, nemmeno un centenario vi era fra i vilcabamba. La persona più vecchia aveva 96 anni e l'età media di coloro che si professavano al di sopra dei cent'anni in effetti era di 86 anni. I tre ricercatori presentarono questi loro risultati il 27 febbraio del 1978 a un seminario tenutosi al National Institutes of Health di Bethesda. Gli scienziati conclusero che la longevità individuale fra i vilcabamba è di poco, se non uguale, a quella che vi è nel resto del mondo. Gettando ulteriore acqua fredda sul fuoco in merito alla reputazione dei vilcabamba, si arrivò ad asserire che l'aspettativa di vita a vilcabamba e nel resto della Loja è addirittura inferiore a quella degli USA.

Come avevano potuto i primi ricercatori prendere un abbaglio così macroscopico?... Mazess e Forman identificarono due fonti di errori:
  1. Primo, gli abitanti sistematicamente esageravano la loro età, e man mano che crescevano, l'esagerazione diventava sempre più evidente. Mazess e Forman fornirono come esempio la "falsa testimonianza" di Miguel Carpio Mendieta: allorché aveva 61 anni nel 1944 egli asseriva di averne "70", e cinque anni dopo, ne dichiarava "80". Nel 1970, all'età di 87anni, veniva a reputarsi un uomo di "121" anni, e nel 1974, a 91 anni, egli ne aveva "127". I ricercatori ipotizzarono che gli abitanti esagerassero la loro età onde poter acquisire prestigio all'interno della comunità. Questo uso era in pratica una tradizione da generazioni e generazioni, ancor prima che i ricercatori arrivassero nel villaggio. Leaf inoltre si persuase che la pubblicità internazionale con il conseguente arrivo del turismo, possa avere incoraggiato gli abitanti a rendere l'esagerazione molto più prolifica. 
  2. La seconda fonte d'errore era l'innato uso esteso di nomi identici nella piccola comunità. Questo avrebbe inizialmente portato un po' fuori strada i ricercatori i quali avevano vagliato i documenti riguardanti la data di nascita e quelli del giorno del battesimo. La data di nascita di uno zio dal nome identico, o di un padre, darebbero conferma alla estrema longevità di uno dei suoi abitanti. Chiedendo ai vilcabamba i nomi dei loro padrini, i ricercatori furono capaci di identificare le corrette date di nascita di ciascun residente.

Risulta tra l'altro che tra i vilcabamba in effetti vi sia una percentuale di persone più anziana, a causa  dell'emigrazione di giovani.

Anche ammettendo che i vilcabamba non godano di una longevità superiore a quella che vi è nel resto del mondo, resta loro comunque una consolazione non di poco conto. Lo stile di vita dei vilcabamba, compreso il duro lavoro ad altitudine elevata combinato a un basso consumo di calorie e scarso consumo di grasso animale dona agli abitanti del villaggio una salute vigorosa fino a tarda età. [E questo sembrerebbe contraddire il fatto che abbiano una longevità pari a quella che si riscontra nel resto del mondo]

  Sul sito Vilcabamba.org, in lingua inglese, progettato per favorire il turismo a Vilcabamba si  continua (dal 2008) a dichiarare che gli abitanti della regione godono di un insolita longevità, descrivendo Vilcabamba come la "Valle della Longevità". Questo sito inoltre fornisce un certo numero di teorie per spiegare la supposta longevità dei vilcabamba. Per esempio, dicendo che ricercatori giapponesi trovarono che l'aria nella regione era carica di ionizzazione negativa: "gli uomini anziani" vivono molti anni a Vilcabamba perché respirano questa aria pura che produce un effetto 'chelato' ai loro corpi." Il sito fà inoltre  riferimento al gerontologo Morton Walker, il quale, durante una ricerca condotta nel 1982, scopri gli stessi effetti nel "perfetto equilibrio minerale riscontrabile nell'acqua potabile del luogo. Anche ricercatori francesi associano questo tipi di effetti al clima ideale che si trova nella valle.

Articolo liberamente tradotto dalla pagina web  Vilcabamba: the town of very old people


Leggi anche l'articolo di Angelo Mo apparso 28 novembre 2010 su Corriere.it
Il segreto della longevità tra i monti di Vilcabamba dove la vecchiaia è d'oro

P.S. - L'idea che mi sono fatto traducendo questo articolo, intellettualmente onesto e non di certo partigiano, è che la questione dell'esagerazione dell'età, certamente presente, non smentisca di fatto la longevità straordinaria dei vilcabamba. Si è tentato di toccare i due poli opposti facendo il raffronto tra le prime ricerche e quelle succesive. La verità, come suol dirsi può trovarsi benissimo nel mezzo. Un certo buon senso fa capire che la salute di ferro fino a tarda età comunque riscontrata e la smentita succesiva della longevità non vanno tanto d'accordo. Concludendo, direi che l'insolità longevità e la salute eccezionale vi siano ancora tutt'oggi, un po' affievolite, ma ancor più vi erano in passato, prima dell'avvento del turismo nella Loja. Da questo punto di vista si potrebbe spiegare, se non del tutto, almeno in parte il gap in cui si sono trovati coinvolti i ricercatori. Con l'avvento del cosiddetto sviluppo a Vilcabamba, favorito dal governo ecuadoregno e dal conseguente turismo, la salute e la longevità avrebbero avuto un crollo inevitabile, come è successo anche per gli Hunza.

lunedì 31 dicembre 2012

L'età media della popolazione in Occidente

Spero di contribuire al sfatare il logos comune riguardo al fatto che l'età media della popolazione occidentale sia aumentata e che questo presunto aumento sia dovuto, più che altro, ai progressi nel campo della medicina. Gli assunti che io cerco di portare avanti sono ovviamente fondati su dati obiettivi che contrastano con le la scienza (prostituita, si sa, ad interessi economici) e le statistiche ufficiali.
Dire che l'età media in occidente è aumentata è un ambiguità singolare e anche uno specchio per allodole poiché le statistiche dovrebbero essere valutate attentamente ed essere interpretate. L'età media dei decessi in una popolazione (nel corso della storia) tiene conto anche delle morti accidentali, delle frequenti epidemie, delle guerre, della mortalità infantile, e di tante altre cose che potrebbero indurre (e molto spesso lo fanno) a una valutazione errata dell'età  media delle morti naturali.
È un po' come mischiare capre e cavoli, patate e lenticchie. La prima guerra mondiale, per esempio, ha procurato una enorme quantità di morti[1] e facendo così una statistica riguardante il periodo storico menzionato, l'età media si abbassa fortemente; facendo poi un paragone con l'età media di adesso si giunge alla falsa conclusione che noi abbiamo un età media maggiore, rispetto al passato e ad altri paesi sottosviluppati. Falso! ovvero le statistiche dovrebbero essere spiegate più adeguatamente. Se si facesse soltanto riferimento alle morti naturali ci si accorge di come siano falsate le statistiche e non valutate obiettivamente. Cerchiamo di leggere fra le righe e non fermiamoci all'apparenza. Dire che l'età media di un certo periodo storico, in cui vi era il pullulare della guerra, sia sui 30 o 40 anni, non dice niente dello stato di salute generico e della effettiva età media delle morti naturali.
   Intanto l'informazione di regime ci convince in tono eclatante blatterando che oggi la medicina è arrivata ad accertare che l'età media dell'animale uomo può arrivare a 120 anni. Scoperta dell'acqua fresca. Ci sono popolazioni considerate arretrate, sparse per il mondo, che già lo sanno, come i longevi Vilcabamba [2] peruviani oppure i Carani Guarani [3] nell’America del Sud, gli indiani Toda, le popolazioni indigene del Monte Hagen in Nuova Guinea, gli Abchazi della Georgia, ecc...
Il popolo degli Hunza [4], situato nell'omonina valle del Pakistan la cui età media, fino a non poco tempo fa (prima dell'arrivo della civiltà), era di circa 120 anni [vedi la valle degli Hunza ]. Ed è, a quanto è facile dedurre, l'età media propabile di popolazioni non contaminate, che vivono allo stato naturale, a dispetto dell'acqua fresca blabbata dall'informazione televisionaria... Quello che si riesce ad estrapolare da ciò è che addirittura l'età media, riguardante le morti naturali in Occidente, sia addirittura diminuita, fortemente. Altro che aumento! e per di più dovuto ai progressi presunti nel campo medico. Ivan Illich, per es., fa una scoperta importante  riguardante dei dati statistici della vita media dell'americano che non è cambiata da 100 anni a questa parte.

[...] La prima volta che mi sono capitati sotto gli occhi questi dati, non potevo crederci. Reagii come avevo reagito anni prima di fronte ad altri dati - quando studiavo l'efficacia dell'istituzione medica. Mi sembrava allora incredibile che dal 1880 non fosse cambiato in misura apprezzabile il probabile numero di anni che restavano da vivere a un americano di mezza età.
(...) Mi ci vollero mesi per assorbire il significato di queste informazioni. E' vero che il tasso di sopravvivenza dei neonati è enormemente cresciuto, e che sono più numerosi quelli che arrivano ai quarantacinque anni. Corpi maciullati da incidenti possono essere ricostruiti con la plastica e l'alluminio; molte malattie sono state quasi eliminate. Ma il probabile numero degli anni che restano da vivere a un uomo adulto non ha subito modificazioni significative. E l'aumento o la diminuizione che si sono verificati intorno alla soglia eterna della morte ha poco a che fare con gli sforzi medici.
La consapevolezza che il denaro, la chirurgia, la chimica e la buona volontà sono impotenti nella lotta contro la morte viene, nelle nostre società, costantemente repressa. È una di quei fatti che, a me pare, sentiamo il bisogno di esorcizzare con il rituale e col mito".
 E-stratto da IL GENERE E IL SESSO, per una critica storica dell'uguaglianza di Ivan Illich (Saggi Arnoldo Mondadori)
Nel tragico evento del terremoto in Iran alcuni anni addietro tra i pochi superstiti, guarda caso, ci fu una donna di 97 anni, trovata in ottimo stato di salute. È un caso o è la norma raggiungere quella veneranda età, e per giunta, in ottimo stato di salute?...  Se si considera l'effetto e le conseguenze del terremoto nella zona specifica l'età media di quel villaggio è risibile, vero! Quindi, andiamoci piano con le statistiche... se poi le statistiche sono manipolate (come è lecito supporre) da interessi economici, beh!...

Leggendo ancora fra le righe, Si può constatare un altro tipo di occultamento, magari non proprio a livello consapevole, dovuto alla forza dell'abitudine che produce il preconcetto. Una persona nativa della Giordania, intervistata dal giornalista Romano Battaglia, disse che l'età media della mortalità nel suo paese era di circa 90 anni. Il giornalista si stupì, senza approfondire più di tanto quell'asserzione così significativa. (Presumo che Battaglia l'abbia rimossa dalla coscienza, senza pensarci più di tanto). La Giordania è un paese meno sviluppato dei paesi occidentali. Quindi un altra ovvia deduzione a favore della tesi che l'età media della mortalità in Occidente è fortemente diminuita. Ci sono tante cose, tanti eventi, tante letture fra le righe, tanti studiosi non allineati, che ci permettono di capire il perché di queste balle occidentali. È ovvio, chi ne può trarre interesse da questa propaganda di statistiche fasulle e mal interpretate?... Rendiamoci conto, e cerchiamo di guardarci intorno: smog, stress, alimentazione scorretta, caos micidiale, traffico... come può esserci un aumento dell'età media della vità?... La soglia dell'età media della popolazione occidentale è aumentata soltanto secondo l'informazione di regime che ha tutto da guadagnare dalle balle propagandate.


Ritornando al popolo degli Hunza  [vedi la valle degli Hunza ] (ma ciò vale anche per altre popolazioni sparse per il mondo) possiamo fare diverse considerazioni generali:
  1. In una popolazione che vive in una natura incontaminata l'età media della mortalità è molto più alta e diciamo che la vita segue il corso naturale della nostra specie.
  2. Gli Hunza vivono ad una altitudine elevata (2.500 m. ca. s.l.m) e quindi non soggetti allo smog [ ovviamente riferito ad un possibile inquinamento generalizzato dell'atmosfera, delle acque, del terreno ]
  3. L'alimentazione degli Hunza è naturale e per lo più di tipo vegetariano.
  4. Gli Hunza praticano un digiuno stagionale, dovuto più che altro alla carenza di scorte alimentari invernali, in attesa del nuovo raccolto.
La cosa che colpisce di più degli Hunza è la loro felicità e il loro sorriso (non certo artefatto come quello delle reclame, tirato su con le molle). Gli Hunza sono una delle popolazioni più longeve poiché vivono una condizione particolarmente favorevole, non dovuto al codice genetico della popolazione specifica, ma alla loro vita naturale, al loro isolamento.
Non conoscevano nemmeno le malattie fino a che non furono visitati  dagli occidentali, che importarono cibi artefatti e chissà cos'altro... Per loro fortuna gli Hunza sono tenaci conservatori delle tradizioni.

[1] Numero di morti che andrebbero interpretati. Oltre alle morti in guerra, bisogna tenere presente le quelle inerenti o conseguenti alla guerra, additabili a fame, a mancanza di igiene, alla povertà, all'alimentazione carente e inadeguata...

[2] Il segreto della longevità tra i montidi Vilcabamba dove la vecchiaia è d'oro, articolo di Ettore Mo su Corriere.it

[3] Il teorema vegetariano

[4] Hunza su Wikipedia